L’odissea di Antonio Ligabue ha inizio il 18 dicembre 1899 a Zurigo e si conclude il 27 maggio 1965 a Gualtieri, dove era giunto il 9 agosto 1919, segnato da un’infanzia difficile e da un talento innato per il disegno…

La triste odissea di Antonio Ligabue (il cui vero cognome era Laccabue) ha inizio il 18 dicembre 1899 a Zurigo in Svizzera, una vicenda umana segnata da disgrazie, sradicamenti, solitudine, fame e miseria. Nonostante la nascita in territorio elvetico, le sue origini erano profondamente legate all’Italia.
Antonio Ligabue nasce nell’Ospedale delle donne di Zurigo e viene registrato con il cognome della madre, Elisabetta Costa, che aveva all’epoca 28 anni e abitava a Frauenfeld, nel cantone di Turgau, dove faceva l’operaia. Elisabetta ben presto conosce un altro emigrante italiano, Bonfiglio Laccabue, nativo del Comune di Gualtieri (Reggio Emilia); i due si sposarono il 18 gennaio 1901 e il 10 marzo dello stesso anno Bonfiglio legittima il piccolo Antonio dandogli così il proprio cognome e rendendolo cittadino di Gualtieri.
Tuttavia, Antonio non era diventato, con il riconoscimento di Bonfiglio, membro di una vera e propria famiglia, se si pensa che, a soli nove mesi d’età, nel settembre 1900, era stato affidato a una coppia svizzero-tedesca. Le due famiglie – quella naturale e quella d’adozione – erano unite da un medesimo destino di emarginazione, precarietà, indigenza. Il bambino fu colpito da rachitismo e carenza vitaminica che gli causarono una malformazione cranica e un blocco dello sviluppo fisico – di qui, l’aspetto sgraziato che conosciamo attraverso le sue fotografie da adulto.

Nel periodo delle scuole elementari Ligabue venne più volte inserito in classi differenziali a causa dei suoi problemi di apprendimento. Nel settembre del 1913, venne affidato agli svizzeri Johannes Valentin Göbel ed Elise Hanselmann che negli anni successivi lo denunceranno varie volte per i suoi strani comportamenti. A causa delle disagiate condizioni economiche e culturali furono costretti a continui spostamenti, mentre la salute del giovane Ligabue andava peggiorando : colpito fin dall’infanzia da carenze vitaminiche e rachitismo, il suo sviluppo fisico si bloccò, lasciandone i segni nel suo aspetto per tutta la vita. Il carattere difficile e le difficoltà negli studi lo portarono a cambiare scuola varie volte: prima a San Gallo, poi a Tablat e infine a Marbach, in un istituto condotto da un prete evangelico, da dove venne allontanato nel maggio del 1915 a causa della sua abitudine a bestemmiare. Nell’istituto, in ogni caso, Ligabue impara a leggere con una certa velocità, e pur non essendo capace in matematica e in ortografia, trova costante sollievo nel disegno. Si trasferì successivamente con la famiglia adottiva a Staad, dove condusse una vita piuttosto errabonda, lavorando saltuariamente come bracciante agricolo.

Tra il gennaio e l’aprile del 1917, dopo una violenta crisi nervosa, fu ricoverato per la prima volta in un ospedale psichiatrico a Pfäfers. Nel 1919, dopo aver aggredito la Hanselmann durante una lite, su denuncia della stessa, venne espulso dalla Svizzera. Da Chiasso fu condotto a Gualtieri, luogo d’origine di Bonfiglio Laccabue ma, non sapendo una parola di italiano, fuggì tentando di rientrare in Svizzera. Riportato al paese, visse grazie all’aiuto dell’Ospizio di mendicità Carri. Nel 1920 ricevette l’offerta di un lavoro presso gli argini del Po come scarriolante, contribuendo alla costruzione di una strada che collegava Gualtieri con il fiume.

Proprio in quel periodo iniziò a dipingere. Nel 1928 incontrò Renato Marino Mazzacurati, che ne comprese l’arte genuina e gli insegnò l’uso dei colori ad olio, guidandolo verso la piena valorizzazione del suo talento. In quegli anni si dedicò completamente alla pittura, continuando a vagare senza meta lungo il fiume Po.

Nel 1937 fu ricoverato in manicomio a Reggio Emilia per atti di autolesionismo. Nel 1941 lo scultore Andrea Mozzali lo fece dimettere dall’ospedale psichiatrico e lo ospitò a casa sua a Guastalla. Durante la seconda guerra mondiale, fece da interprete alle truppe tedesche. Nel 1945, per aver percosso con una bottiglia un militare tedesco, dovette rientrare in manicomio, rimanendovi per tre anni. Nel 1948 si fece più intensa la sua attività artistica tanto che giornalisti, critici e mercanti d’arte si interessarono a lui. Nel 1957, Severo Boschi, firma de Il Resto del Carlino, ed il fotoreporter Aldo Ferrari gli fecero visita a Gualtieri: ne scaturì un servizio sul quotidiano con immagini tuttora celebri.

Nel 1961 si procedette all’allestimento della sua prima mostra personale alla Galleria La Barcaccia di Roma. Subì un incidente in motocicletta e, l’anno successivo, rimase vittima di una paresi. Nel 1963, Guastalla gli dedicò una grande rassegna antologica, organizzata dal gallerista e amico Vincenzo Zanardelli. Chiese di essere battezzato e cresimato: morì il 27 maggio del 1965, all’età di 65 anni. Fu sepolto nel cimitero di Gualtieri e sulla sua lapide venne posta la maschera funebre in bronzo realizzata da Mozzali. In paese era soprannominato, nel dialetto locale, Al Matt (il matto) o Al tedesch (il tedesco).